I rapporti tra uomini e donne in una prospettiva "transculturale”

di Paola Melchiori












ALCUNE PREMESSE

1. All’inizio, quando parlavamo dei rapporti uomo-donna, pensavamo che questa dimensione dell’ingiustizia e della parallela liberazione dalla posizione femminile, era l’ultimo e necessario anello per “compiere “ qualunque processo di rivoluzione capace di andare alle radici di tutte le oppressioni. Non avevamo però ancora chiara la profonda solidarietà dei diversi aspetti dell'oppressione femminile, la consapevolezza della profonda coerenza di tutti gli aspetti del patriarcato.
 
2. Le primissime lotte, sia al Nord sia nel Sud del mondo, erano richieste di inclusione. In generale, i movimenti delle donne non sono nati come movimenti contro il substrato patriarcale di ogni società. Si pensava che, una volta messa in evidenza l’ingiustizia della disuguaglianza di genere, la più profonda, si sarebbe iniziato un processo lineare di evoluzione verso una “giustizia” di genere. Questi movimenti dicevano: noi vogliamo poter usufruire di tutti i diritti e gli spazi dati a tutti i soggetti sociali. Questi movimenti quindi non erano propriamente “rivoluzionari”.  Ma si sono trovati di fronte tali e tanti muri, in parte anche inaspettati, anche solo nella strada per realizzare pezzetti di uguaglianza, che si è ben presto capito che si dovevano decostruire così tanti livelli altri prima di poter davvero raggiungere una semplice uguaglianza che, a forza di scontrarsi con reazioni impreviste, si è formata una nuova coscienza.  Era come tirare il filo ad un maglione che non si finiva mai di disfare per potersi avvicinare alla meta. Un lavoro quindi molto più complesso, sia sul piano delle cose da fare e da capire, che sul piano delle controre azioni impreviste. Per esempio, nessuno s’immaginava che le separazioni in famiglia, effetto di una maggiore coscienza di sé femminile, sfociassero in un aumento degli omicidi, fenomeno tra l’altro assolutamente transnazionale. Parimenti nessuno aveva chiaro che il sistema di pensiero che regge il patriarcato fosse così rigido e coerente al suo interno.
          
3. Quest’esperienza di scoperta di questa coerenza interna del sistema che regge le differenze di genere è stata assolutamente comune sia per le donne del Nord che del Sud del mondo. Così le lotte di liberazione relative al rapporto uomo-donna sono nate in vari paesi in modo molto diverso ma sono approdate a punti e prospettive molto comuni.  In alcuni paesi le lotte sono nate come questioni di ampliamento dei diritti dell’individuo, come nel Nord dell'Europa o negli USA, nel Sud del mondo si sono sviluppate prevalentemente come un’evoluzione all'interno dei movimenti di liberazione anticoloniali, come effetto finale dell’emancipazione che le donne avevano vissuto nelle guerre di liberazione. Con tali partenze molto diverse, tuttavia tutti i movimenti in qualunque parte del mondo, si ritrovano oggi molto vicini, pur nelle infinite differenze, su alcune questioni cruciali, relative alla dimensione patriarcale di ogni aspetto della realtà.

 
IL MOVIMENTO INTERNAZIONALE DELLE DONNE

Possiamo oggi domandarci: a che punto è quello che si è chiamato il movimento internazionale delle donne? E come rispondere ora, ben dopo la fine del decennio delle Conferenze ONU, quelle che ne hanno permesso e aiutato la formazione e la visibilità? Che ne è dell’esistenza, strategia, costruzione di sguardo, in un movimento oggi relativamente invisibile nella scena pubblica?  Posso tentare un bilancio da uno dei luoghi che si sono costituiti dopo le Conferenze ONU degli anni 80-90, per continuare il lavoro li iniziato, come momento di continuità tra le femministe che si sono incontrate durante le Conferenze e che non volevano smettere di dialogare, confrontarsi, discutere in luoghi meno costretti dalla produzione immediata di posizioni ufficiali e documenti concordati.

Bisogna dunque ripartire dalle conferenze ONU, che hanno permesso alle donne di organizzare una presenza internazionale e renderla visibile sulla scena pubblica. Il femminismo classico è nato negli Usa, poi la migrazione di questo pensiero si è diffusa per il mondo con una rapidità incredibile, quasi come un virus pur essendo questo un movimento senza militanti, senza organizzazione, senza soldi, senza propaganda. Quando sono incominciate le conferenze ONU sullo “sviluppo umano” negli anni '90, le conferenze che affrontavano questioni come i diritti umani, l'ambiente, l’abitabilità, i diritti riproduttivi, queste conferenze si sono riempite di donne del Nord e del Sud. Nel '92, in occasione della prima conferenza (a Rio de Janeiro, sull’ambiente) un gruppo di donne pose, di fronte all’establishment internazionale, “una tenda delle donne”, come luogo d’incontro per discutere questi argomenti dal loro punto di vista. Queste conferenze sono state una vera e propria palestra di confronto tra donne del Nord e del Sud. Da una parte c'erano i luoghi e gli obiettivi formali, le conferenze ufficiali, dall’altra i forum non governativi, che raggruppavano e favorivano una miriade di discussioni di tutti i tipi,  filosofiche, politiche e anche molto concrete.
 Dalla Conferenza di Rio sull'ambiente nel '92 fino all'ultima di Istanbul, nel 1996, ognuno di questi appuntamenti é stato il luogo di incontro, per la miriade di gruppi che le hanno frequentate, per conoscere la reciproca esistenza, confrontarsi, maturare divergenze e trovare posizioni comuni, formare un punto di vista autonomo sulla visione delle radici delle disuguaglianze di genere, sul mondo, sullo sviluppo economico, sociale, sulla democrazia, la politica, la scienza. In esse le varie e diversissime elaborazioni individuali e nazionali o locali si incontravano o scontravano, in ogni modo usavano la diversità, di collocazione e di posizione, per elaborare uno sguardo "panoramico" su quanto accadeva nel mondo e in quella parte di mondo che si era recentemente svegliata dallo stato di vittima per parlare con voce propria. C'era una volontà di inclusione, allora, che però si è sviluppata, in modo da mutare tutti i propri parametri di partenza. Ponendosi come soggetti interroganti la propria posizione nella società, nell’immaginario individuale e sociale, nell'economia e nello sviluppo, le femministe hanno fatto emergere i"buchi" del discorso filosofico, economico e politico, i silenzi che coprivano il lavoro non visto e non pagato della popolazione femminile, l'uso della loro forza materiale, emotiva, intellettuale, uso tanto tenacemente perseguito quanto escluso da ogni rappresentazione, sia simbolica sia politica. Agli inizi degli anni novanta iniziava cosi la definizione di temi di ricerca, modalità epistemologiche, l’identificazione di nuove pratiche sociali e politiche. A questo punto la richiesta di inclusione si è rivelata ad un tempo impossibile e inadeguata: per essere incluse si dovevano disfare molti più “tessuti sociali e intellettuali” del previsto, per avere parità di diritti davvero si andavano a toccare equilibri troppo profondi del sopravvivere per poter essere regolati e sistemati da provvedimenti di uguaglianza legislativa e formale. Iniziava cosi un lavoro di disfacimento e critica di paradigmi secolari del vivere e del pensare che si pensava di avere il tempo di sviluppare progressivamente e linearmente.

Questo è stato il vero inizio di un movimento internazionale, transnazionale. Sono così iniziati vari livelli di confronto, dai concetti fondamentali in cui ci si autodefiniva ai rapporti con gli uomini, così come nei nostri gruppi di autocoscienza. Si discuteva di tutto con un metodo molto autocoscienziale ma anche molto centrato su come queste discussioni potessero essere tradotte in una richiesta alle istanze istituzionali, come appunto l'ONU. Si sono sperimentati modi di comunicazione, identificazioni delle questioni centrali, modalità di organizzazione politica - i Caucus- estremamente democratici, in cui c'era un ricerca raffinatissima di quella che poteva essere una mediazione tra mondi diversi. Successivamente i Social Forum, sia per l'organizzazione interna sia per le modalità di gestione, sono diventati gli eredi delle pratiche inventate durante quelle conferenze e hanno preso a piene mani queste forme organizzative, senza ovviamente mai vederne le origini..
Nel periodo delle conferenze c'era anche molto conflitto tra Nord e Sud. Mentre le donne del Nord si occupavano di più delle problematiche legate alla sessualità e al privato, le donne del Sud portavano l'istanza della loro condizione economica, nel senso che, mentre tenevano in piedi l'organizzazione economica delle società e della produzione, il loro lavoro non esisteva assolutamente né sul piano della rappresentazione né sul piano del minimo potere, né reale né simbolico. 
Il fatto paradossale è che oggi la situazione si è completamente invertita: sono le donne del Sud che parlano di questioni legate alla dignità, alla violenza, al senso di sé, mentre quelle del Nord parlano di più della loro non rappresentanza in politica, della possibilità di non essere travolte dal lavoro di cura, della loro presenza nello spazio pubblico. Questo ha a che fare con il metodo di lavoro che ci si era dato. Man mano che una parte approfondiva una questione si trovava di fronte a qualcosa d'altro. Così a partire dalla questione economica ci si è scontrati con un rapporto di potere profondo inserito nella società. E viceversa. Tutte, nel pubblico e nel privato, abbiamo urtato contro lo zoccolo duro del potere personale, emotivo, sociale, economico e simbolico patriarcale.

Finite le conferenze ONU si sono aperte nuovi scenari. Le Conferenze dal punto di vista organizzativo erano utili perché la struttura organizzativa di contesto rendeva possibile incontri che nessuna piccola organizzazione avrebbe potuto sostenere né economicamente né organizzativamente, e, alle prime conferenze, forse per una “svista”, o perché il movimento era all’inizio della sua formazione, arrivarono davvero delle avanguardie sociali e politiche, non delle burocrati, delle iniziatrici, e da tutti i contesti, accademici, sociali, politici. L’ONU pagava alcuni viaggi, molte altre si organizzavano per seguire, si dividevano le stanze, le risorse, si formava una vera rappresentanza, fatta anche dalle prime rappresentanti governative e da varie organizzazioni di base che ne seguivano da vicino l’operato con un lavoro di lobby preziosissimo, più o meno ben accolto a seconda ovviamente della composizione governativa dei vari paesi.  E qui bisogna dire che alcune fondazioni americane “indipendenti” e alcuni governi “illuminati” come quelli canadese e scandinavi sono stati, con donazioni le prime e presenze di delegazioni le seconde, davvero sostegno prezioso alla presenza del meglio del movimento delle donne del momento. Alla Conferenza del Cairo, ad esempio, quella sui diritti riproduttivi, la più “complessa” di tutte forse, sia per il tema sia per la virulenza degli schieramenti, (ricordiamo che per ogni conferenza c’erano due incontri preparatori di un paio di settimane, per preparare i testi e discutere i punti caldi, forse la parte più interessante, meno tesa e con il tempo di discutere davvero a fondo), alcune delegazioni governative alleate con le attiviste di base dettero del filo da torcere ai paesi cattolici di America latina che sostenevano il Vaticano!  Furono anni davvero fantastici, per la qualità del dibattito, degli incontri, la passione del confronto, dove le differenze e i conflitti venivano in qualche modo tenuti a bada dalla necessità di produrre posizioni e contrastare le grandi Organizzazioni Mondiali, la Banca Mondiale, il Vaticano, etc. dipendendo dai contesti, anni di invenzione di grandi mediazioni, agite con allegria e creatività. All’ultima Conferenza, quella di Istanbul, fu chiaro che tutta questa rappresentanza “doveva finire”, era sfuggita di mano. E, finito tutto questo si sarebbe rimaste sole e invisibili le une dalle altre (allora non c'era ancora un uso politico di Internet come oggi). Si sapeva che tutto questo lavoro di confronto, approfondimento intellettuale delle diversità, di identificazione di parole d'ordine, di sviluppo di pratiche, di peso organizzativo e finanziario avrebbe dovuto continuare con le nostre forze.  Infatti, la visibilità reciproca di quegli anni, una volta abbandonata la forza delle istituzioni, è finita. Così, agli appuntamenti quinquennali di valutazione dei risultati delle Conferenze, si è ben presto capito che alla sorpresa della presenza e formazione del movimento delle donne emergente a livello internazionale si era posto riparo: le Conferenze "plus five", come si chiamavano questi appuntamenti, a cinque anni di distanza, si sono riempite di donne appartenenti a sette religiose e fondamentaliste, presenti con il chiaro mandato di rendere impossibile ogni lavoro di confronto, ogni progresso. Il secondo giro di Conferenze è divenuto luogo formale, dove, alla fine, si è dovuto accettare che mantenere le posizioni raggiunte, che in quei contesti passano per il linguaggio, per sparizioni e cambiamenti di vocaboli, era già una grande vittoria. Era questo, sin dal 1995, avviso di quanto più chiaramente vediamo oggi: alla presa di parola sui diritti umani delle donne, sull'autonomia della gestione del corpo e della salute, sulla violenza sessuale, si è ben presto contrapposta la ferrea alleanza di una reazione religiosa e fondamentalista, guidata da Islam e Vaticano, solo apparentemente divise nel travestimento di uno scontro tra civiltà e solo apparentemente opposte alle grandi istituzioni economiche del neoliberismo.

 

DOPO LE CONFERENZE ONU

Non solo questa progressione è stata impossibile per la violenta reazione di quello che oggi chiamiamo, con coscienza di causa, il solido e organicamente strutturato sistema patriarcale. E’ stato impossibile anche perché è stato contemporaneo, -e parzialmente travolto- dalla velocità e dalle modalità dei processi di globalizzazione, dalla vittoria totale del modello neoliberista prima, poi dall’emergere dei fondamentalismi religiosi poi. C'è stato insomma un movimento contraddittorio tra il momento in cui il movimento è nato e il momento storico che è seguito: ancor prima di prendere consistenza altri due scenari hanno ridotto gli spazi operativi.

 Il primo è stata la vittoria totale del neoliberismo. Questo ha significato che, se le donne sono divenute parte integrante, soggettivamente e oggettivamente, del discorso sulla globalizzazione, il loro emergere è stato rigiocato contro di loro dalle grandi istituzioni economiche internazionali, dalle chiese, dal vincente neoliberismo, e, proprio “grazie” al discorso femminista, questi soggetti istituzionali del mondo neoliberista hanno scoperto un potenziale occultato tutto da sfruttare, utile anche per reinchiodare le donne ai loro ruoli tradizionali. Così, mentre si sviluppava l'analisi del doppio lavoro, la scoperta del lavoro domestico e di riproduzione sociale come un elemento centrale e cancellato da contabilizzare all'interno del PIL, quest'operazione di visibilizzazione indicava alle donne l'entità del loro lavoro ma anche ad altri le ulteriori possibilità di sfruttamento del lavoro femminile.  Le economie di sussistenza del Sud sono state le prime, poi è toccato alle ricche società del Nord. Si iniziava dunque anche a vedere, soprattutto nel Sud all’inizio,  che il lavoro delle donne nei due terzi del mondo non solo esiste ma produce e mantiene in vita intere comunità, che in anni di carestie, di catastrofi naturali, alternate a siccità e alluvioni, di aggiustamenti strutturali, se non ci fosse questo lavoro invisibile delle donne, le carestie, i disastri e la povertà sarebbero, se possibile, ancor più gravi e.. ..tutto ciò è servito tagliare ancor più i servizi e i programmi sociali.
Le loro scoperte si sono rivoltate contro le donne, perfino linguisticamente, come per il termine "libertà", nell'era di Bush e Berlusconi. Il ragionamento delle grandi agenzie internazionali, purtroppo giusto, é stato-è, che non importa se si taglia la spesa sociale perché le donne mai verranno meno alloro ruolo di cura, sempre faranno da ammortizzatore, economicamente, socialmente, emotivamente. E' bene notare qui, tanto per fare un esempio, che fare tagli alla spesa sociale in Africa significa che, in un posto dove le cliniche materne si trovano in un raggio diciamo di sette chilometri, esse diventano lontane venticinque chilometri, e ciò significa che una donna che deve partorire deve farne venticinque di Km., a piedi ovviamente, per arrivare alla sua “clinica”. Idem per raccogliere quel po' di acqua potabile che ancora si trovi e non sia già imbottigliata nei vari supermercati a prezzi accessibili solo alle élites. Significa che il carico di lavoro normale per una donna normale si moltiplica esponenzialmente, venendo tutto assorbito "solo" dai corpi, dalla fatica e dalle relative condizioni di salute. Significa un tasso di mortalità materna e infantile che si impenna. Infatti, con tutti i miliardi spesi nei prestiti per lo "sviluppo", nei relativi progetti, se dalla fine delle lotte coloniali c'era stato comunque un miglioramento di tutti gli indicatori socio-sanitari: mortalità materna, aspettativa di vita, educazione, dalla fine degli anni ottanta la situazione è peggiorata a tal punto da tornare agli stessi livelli della fine delle epoche coloniali. La mortalità materna in Mozambico, Niger e Malawi, tre tra gli ultimi paesi al mondo per condizioni di vita, é la stessa di quando se ne sono andati i portoghesi, i francesi, gli inglesi. Vale la pena di citare la lettera di Davison Budhoo, funzionario del Fondo Monetario Internazionale, alle sue dimissioni, nel 1988, per ragioni che potremmo chiamare umanitarie, citato nell'ultimo e fondamentale libro di Naomi Klein: Shockeconomy (Klein: 2007,p.297): "Oggi ho dato le dimissioni dallo staff del Fondo Monetario Internazionale dopo più di dodici anni, e dopo mille giorni di lavoro ufficiale sul campo per il FMI, durante i quali ho venduto la vostra medicina e i vostri trucchetti," (comprese statistiche completamente inventate, dirà più avanti),"a governi e popoli dell'America Latina, dei Caraibi e dell'Africa. Per me le dimissioni costituiscono una liberazione inestimabile, perché con esse compio il mio primo passo verso un luogo in cui spero di lavarmi le mani da quello che considero il sangue di milioni di persone povere e affamate. (...) Il sangue è così tanto sapete, che scorre a fiumi. Si secca anche: mi si rapprende addosso; a volte mi sembra che al mondo non ci sia abbastanza sapone per ripulirmi delle cose che ho fatto a vostro nome" .

Sembrava che gli aggiustamenti strutturali riguardassero solo il Sud del mondo, alla fine degli anni ottanta. Sappiamo oggi che ciò era anticipazione di un oggi che riguarda tutti: il risanamento dei bilanci attraverso i tagli alla spesa pubblica, lo smantellamento dello stato in una fase di capitalismo selvaggio in cui alla depredazione degli stati segue quella della terra, del lavoro a buon mercato, delle ultime risorse naturali, la privatizzazione dei servizi, l'attacco alle ultime vestigia di bene pubblico. In una fase come questa, il ruolo delle donne, a Nord come a Sud, è fondamentale, nel senso che il risparmio di spesa pubblica passa come ultima frontiera privatizzando le ultime funzioni considerate naturalmente dello stato, trasporti, esercito, etc. e inchiodando ancor più le donne al ruolo familiare privato ed economicamente invisibile del lavoro di cura. In Europa ciò coinvolge soprattutto le giovani generazioni dannate al precariato e le lavoratrici immigrate.

Contemporaneo è stato l'emergere dei fondamentalismi religiosi. Come io neppure immaginavo molti dei paesi che oggi sono il cuore del fondamentalismo erano paesi aperti e democratici verso le donne, in cui le donne erano più libere. Si pensi all'Algeria, o , incredibilmente al Sudan stesso, in cui le donne erano “francesi”, le élites andavano a studiare alla Sorbona, tornavano in un ambiente in via di modernizzazione sul piano del costume. Prima che cominciasse la reazione fondamentalista. Il che ha voluto dire la messa al muro di quel poco di libertà femminile che si era respirato. E non si pensi che questa corrente sia così in contraddizione con quella della subordinazione della donna conseguente a pressioni economiche. Dal punto di vista delle donne sono tutte situazioni che più d'accordo di così non potrebbero andare. Sono del tutto solidali. Al di là delle differenze ideologiche interne, sul piano del tenere le donne in posizione subordinata e di oppressione, fondamentalismo e neoliberalismo si muovono nella stessa direzione.  Anche da questo punto di vista il movimento iniziale si è trovato di fronte una contro reazione fortissima che chiaramente si ripercuote sui rapporti uomo-donna.

Forse vanno chiarite meglio la centralità e le implicazioni della funzione "d'ammortizzatore sociale" delle donne, che non é quantificabile in termini meramente economici ed è estremamente importante dal punto di vista analitico e politico. Non a caso sono vent'anni che si cerca di contabilizzare il lavoro domestico nei bilanci nazionali e sono vent'anni che non ci si riesce, perché questo calcolo non si può fare. E non si può fare perché esso contiene troppi fattori extraeconomici. Non si può quantificare il ruolo di fabbricazione di connessioni nel tessuto sociale che le donne compiono, che produce effetti economici, ma non é d'ordine economico. Le donne assolvono, nell'immaginario sociale dominante, (leggi: patriarcale), e nella materialità della vita quotidiana, questa funzione di "parafulmine". Se le cose vanno male, sono loro a fame le spese. Facciamo ancora l'esempio estremo di quanto accade in India, dove c'è stata una ripresa massiccia delle morti femminili per “dote”. Le donne, in tempi di disoccupazione maschile, sono sposate per poter vivere della loro dote. Devono però anche poter essere eliminate, dai mariti stessi, quando questi la hanno finita. Non si sa quanti incidenti domestici sono simulati a questo scopo. Queste usanze, dopo Gandhi, erano state completamente bandite. Questo é un fenomeno dove s'intrecciano l'economico e il culturale, inestricabilmente, il premoderno ad uso moderno. Un altro esempio sono le uccisioni per stregoneria, in India, in Africa, soprattutto in occasione di alluvioni e disastri climatici, dove sono ricomparse le pratiche di bruciare le donne, considerate le colpevoli dei disastri socio ambientali. E non si tratta, come si potrebbe erroneamente credere, del ritorno al passato. Si tratta di un ritorno dell'antico per rispondere a nuovi fenomeni, per sopportare una. pressione economica ed emotiva insostenibile. Cosi è dell'assolutamente internazionale aumento della violenza nei confronti delle donne, cresciuta esponenzialmente in intensità e diffusione negli ultimi anni. Non sarà spiegabile come una reazione al fatto che le donne hanno smesso di fare il totalmente sottomesso parafulmine?  Hanno iniziato a sottrarsi a questo ruolo, poco visibile ma socialmente e psichicamente enormemente stabilizzante? Nel peggioramento della situazione economica le donne devono riprendere questo ruolo ancestrale che é quello di vittime e "assorbitrici di tensione", un ruolo non strettamente "produttivo", ma fondamentale per l'economia nel senso che chi fa le politiche vi basa un calcolo economico ben preciso. E che oltretutto mantiene un’economia emotiva, cioè si fa garante della sanità mentale degli uomini. In Argentina la chiamano la politica che va contro al “braço caido” degli uomini, alla depressione maschile per assenza di lavoro e la perdita di ruolo sociale. Agli uomini la perdita del lavoro scatena depressione, ondate di suicidi sono denunciati in America Latina, in India. Quando parliamo d'economia mondiale e di globalizzazione dobbiamo considerare allora l'intreccio tra questi fenomeni, che non sono di ordine economico ma sono estremamente importanti per capire l'economia stessa. E questo é uno dei contributi fondamentali che le donne hanno dato: non solo capire quanto loro avevano prodotto in termini di pura produzione dentro tutte le economie, ma iniziare a tracciare i nessi tra questi fenomeni d'ordine puramente economico e quello che succede invece ai livelli d'ordine sociale e culturale.

GLI SCENARI ATTUALI

E' importante quindi oggi rifare il quadro della situazione. La situazione non è più quella dell'emergere del movimento. E' importante capire se dentro questi processi ci siano anche delle possibilità per le donne di emersione di nuove soggettività, di proposte, di difese dall'aspetto catastrofico della globalizzazione attraverso invenzioni sociali e culturali, con una qualche probabilità di efficacia e visibilità.

La cosa peggiore che ci troviamo a fronteggiare oggi è la scoperta delle parole d'ordine del femminismo fatta dalle organizzazioni internazionali, tipo la Banca Mondiale. Se si vanno a leggere i documenti della Banca Mondiale, essi sono veramente femministi dall'A alla Z. Le istituzioni economiche hanno capito che non c'è risorsa nei progetti che sia redditizia come le donne. Così leggiamo che è inutile dare soldi, per esempio, nei progetti di salute perché è meglio educare le donne anziché gli operatori sanitari, poiché si è calcolato che le risorse date alle madri in campo sanitario producono cinque volte i normali investimenti. Aver reso visibile il lavoro di cura delle donne ha portato le istituzioni a capirne la redditività, sfruttandola a proprio vantaggio. Furto costante delle scoperte, delle parole d'ordine e delle pratiche delle donne che è molto difficile da contrastare, anche perché la sinistra si è perfettamente allineata.

Un’altra delle cose dure da affrontare è il patriarcato di sinistra . Nel Forum 2000, a Seattle si pensava che ci fosse un risveglio anche dei maschi. Invece abbiamo vissuto l’umiliazione di dover implorare ogni volta che agli eventi più rappresentativi del Forum non ci fossero soltanto, ad esempio undici uomini, ma almeno (!) una donna. La sinistra dei Social Forum è stata feroce, tanto che molte donne se ne sono andate.
Una sfrenata misoginia si risveglia appena si esce dall’atteggiamento che arriva a interessarsi delle donne perché poverine... Approccio rassicurante per gli uomini e letale per le donne, perché riproduce quella subalternità che non si vede, che è così difficile identificare, denunciare. Oggi nei paesi Scandinavi si parla di “tecniche di soppressione” quando le donne cercano di far valere qualche cosa. Anche in questi paesi molto avanzati per determinati aspetti ( le donne sono il 47% del Parlamento in Svezia, in Norvegia tutti i consigli di amministrazione aziendali devono avere almeno il 40% delle donne altrimenti non possono partecipare alle gare pubbliche ),  nasce un meccanismo di esclusione, o perché  le donne riescono troppo bene,  oppure, e questo succede spesso in politica, perché se  portano avanti un loro punto di vista, vanno  a toccare  settori  cruciali o pensano il problema in modo totalmente diverso dal punto di vista concettuale, il che di nuovo tocca  un establishment del pensiero o della economia, o della organizzazione interna delle discipline che sottendono i campi in cui i vari settori dello stato sono divisi.   Ad esempio, in politica, le svedesi raccontano della difficoltà di non implicare diversi ministeri oltre al proprio, ogniqualvolta partono delle iniziative generali che escano dalla stretta politica locale. Lì si trovano davanti a un muro. In Norvegia recentemente sono usciti cinque libri di altrettante donne (una responsabile dei sindacati, una giornalista televisiva, una dirigente industriale...) che portano la loro esperienza di emarginazione, di vera e propria eliminazione appena hanno cercato di portare avanti dei punti di vista propri. E, ancor peggio, avevano successo.Un ministro delle finanze (donna) in Norvegia, ha formato un comitato etico per monitorare gli investimenti delle enormi risorse finanziarie venute dal petrolio, (la Norvegia è forse l’unico stato non indebitato del mondo). Scoperto che una certa quota era investita in un’azienda addetta alla manutenzione del muro tra Israele e Palestina, ha sospeso i finanziamenti (dalla sera alla mattina) …. E' oggi al Ministero dell'educazione. L’uscita delle donne in politica dal settore “gruppi vulnerabili” è insopportabile. 
Così l’uscita dall’approccio gruppo vulnerabile è oggi davvero cruciale. E questa consapevolezza in qualche modo sta diventando sempre più importante. Pregs Govender, un’attivista africana scrive: “Se tu sei in una posizione di potere e pensi alle donne come gruppo vulnerabile, l'effetto che ottieni è solo di tanti gruppetti che si contendono le poche risorse disponibili. Se tu invece guardi alle donne come ad un punto di vista sulla realtà il tipo di politica o di scelta e del modo con cui te ne occupi, cambia radicalmente”. Se oggi guardiamo l'Africa troviamo una diffusione del femminismo, di movimenti di soggettivazione delle donne come sguardo sulla realtà, come valore in sé e per sé. Il che è ben diverso dal vedere le donne come gruppo da proteggere insieme a handicappati, ciechi, ecc. Il tipo di politica che oggi “va”, in presenza di un’impossibilità di eliminare le donne dal discorso pubblico è la   politica protettiva che rimette le donne in posizione subordinata, ideologicamente e culturalmente.

Questo quadro dall’idea della complessità in cui ci si trova, della necessità della presenza simultanea di molteplici strategie proprio nel momento di una frammentazione oggettiva dovuta alla fine alla sparizione del terreno fornito dall'ONU, e di una frammentazione soggettiva. Quest’ultima è dovuta alla difficoltà di tenere unite alleanze e inclusioni insieme alle diversità e alla struttura organizzativa stessa di un movimento totalmente povero di risorse economiche, fortemente dipendente dalla struttura degli aiuti allo sviluppo, quindi dipendente dalle linee guida e dalla burocrazia dei vari organismi donatori.

Che cosa è rimasto allora?  Direi una sorta di irreprimibilità del sentire che questo sistema di patriarcato c'è ed è ingiusto e quindi la volontà di cogliere qualsiasi opportunità che permetta un’apertura della soggettività delle donne come esseri umani degni, che hanno valore, le cui forme di discorso e di presenza, i cui lavori, esistono, sono visibili, produttivi e vanno riconosciuti.
Nel Sud a me pare ci sia una maggiore diffusione di resistenza femminile, (per cosi dire, dato che l'uso della definizione di sé come femminista è molto più problematica). Forse perché, a partire dag1i anni settanta, é avvenuta una convergenza tra la presenza di donne del Sud nelle lotte di liberazione anticoloniali e il diffondersi del femminismo (dal Nord). Questo ha portato a una politicizzazione ed emancipazione culturali rapidissime. Sono cresciute delle vere e proprie avanguardie politiche di donne cui le condizioni oggettive, oggi, non "permettono" il ritorno indietro: un ritorno indietro sarebbe troppo catastrofico.
E nonostante le pressioni il movimento in ogni modo è andato avanti. Cito un piccolissimo esempio di una ragazza incontrata in Bolivia; analfabeta e in condizioni sociali disagevoli, arrivata dalle Ande a una nostra riunione con cinepresa, computer e la sua bombetta. Alla domanda sul come fosse arrivata lì, ci ha detto che dal suo villaggio era passata una maestra che aveva messo su un gruppetto di donne, le quali prima si erano organizzate per allevare galline, poi per parlare delle loro problematiche, poi per mettere su un piccolo ospedale, poi per…. Gruppetti come questo, che magari che si trovano inizialmente solo per fare cose produttive - poi si estendono, parlano anche di sé, dei rapporti con i mariti, della possibile rappresentanza nel villaggio - ci sono dappertutto. Questa forza sociale diffusa non si vede, ma nessuno ha potuto fermarla.
Nel Nord si è più alle prese con la difficoltà di rendere visibile nello spazio pubblico l’impatto sociale antipatriarcale del femminismo, e con la risorgente violenza nel privato, con la totale riluttanza maschile a mettere in discussione un impianto mentale, psichico, simbolico, oltre che il potere che ne deriva.
Potremmo dire che in questo quadro le iniziative si sono spostate da quelle che potremmo chiamare una politica dei diritti del "genere", a una politica più complessiva centrata sulla redistribuzione, sulla giustizia di genere e sociale, da una somma di progetti parziali che si ritrovavano occasionalmente a fare coalizione, a un progetto più vasto, in cui lo sfruttamento del lavoro delle donne, il rifiuto della sua rappresentazione e il mantenimento in stato di subordinazione si devono gioco forza pensare e combattere nel nuovo quadro di insicurezza internazionale. Propria di questa fase è la necessità dello sviluppo di analisi intersettoriali, in cui la discriminazione contro le donne che taglia trasversalmente le altre disuguaglianze o oppressioni, ne è esacerbata e le aggrava, è ricompresa in questo contesto. E' in questo senso che si può parlare di passaggio da movimento internazionale o transnazionale a movimento globale, sia per l'estensione delle questioni che per l'approccio. Intendo con questo da un lato che nel rapporto tra locale e globale, non vi è oggi lotta locale, geograficamente parlando, che non implichi il rapporto col globale sia per le forze in campo che per le questioni implicate. Dall'altro lato intendo che un nesso sempre meno occulto lega ogni questione al dominio patriarcale. Praticamente, questo significa che il movimento centrato sui diritti economici o civili "di genere", si è dovuto spostare su questioni più globali, per diventare movimento capace di ripensare le questioni economiche e politiche generali come maggiormente interrelate, di legare le questioni di economia con la questione della democrazia, la questione della democrazia con quella della maschilità.  Per essere un movimento capace di fare resistenza contro l'attacco fondamentalista che inchioda al passato è necessario occuparsi del futuro. Questo ha implicato l’ingresso nelle lotte altermondiste, con tutte le implicazioni della dura scoperta del patriarcato di sinistra esistente in questi luoghi. Su questo aspetto si sono concentrate soprattutto le donne scandinave che, avendo raggiunto lo spazio pubblico in fretta, e prima, hanno sperimentato prima e più chiaramente le tecniche di soppressione che i poteri maschili applicano ferocemente, a volte in assoluta incoscienza.

SPAZI ISTITUZIONALI E NON

Quali spazi esistono oggi per questo lavoro?

Organizzativamente direi che ci troviamo di fronte a una miriade di iniziative, gruppi, dal sociale all’istituzionale, di cui si sa poco, ma che ci sono, ne cito alcuni con il criterio di citare quelli dove si formano a mio parere delle forme organizzative per il futuro o degli spazi promettenti, per cosi dire, a partire dal basso.Oggi c'è una frammentazione grandissima. Sono rimaste le reti che hanno potuto aggregarsi attorno all’accademia o alle professioni, ma le reti autonome sono pochissime, e per forza, chi finanzia le donne? Alcune fondazioni americane, negli USA, alcuni governi illuminati. Per il resto si è formata una rappresentanza di “governo” fatta nel Nord dalle vecchie organizzazioni femminili di antica formazione, nel Sud da una clientela di sorelle e parenti della burocrazia governativa, e in generale da una nuova più docile burocrazia femminile di partito, che ha ben presto soppiantato la rappresentanza dell’attivismo di base.  Tuttavia la frammentazione non vuol dire che non ci sia ancora un grande lavoro locale. Moltissimi gruppi di donne, dentro la società civile, sono diventate le avanguardie di movimenti di resistenza locali, civici, contro misure economiche, contro devastazioni ambientali. Nei movimenti della società civile in realtà, almeno nel Terzo Mondo, il peso delle donne é stato ed é enorme. Ma spesso non vi è nessuna consapevolezza di genere. Da un lato sono ancora vive in generale le “reti storiche” nate negli anni ottanta che si uniscono per tema o appartenenza professionale, si occupano di economia, di salute riproduttiva, localmente e internazionalmente, così come le reti agganciate alle professioni o alle università, come quelle che continuano a tenere aperta un minimo di sorveglianza sulle grandi manovre istituzionali. Molto spesso queste lotte civiche sono guidate da donne che non si definiscono assolutamente femministe e considerano datato questo approccio. E paradossalmente ho sentito più giovani africane che giovani europee recentemente rivendicare questa “etichetta”. Esse rivendicano oggi il termine femminista per indicare la radicalità del loro approccio, in molti paesi africani, proprio per opporsi a quei gruppi che fanno dell’approccio alla povera popolazione femminile la loro bandiera.
 Si stanno tuttavia costituendo nuovi spazi, legati al problema del ricambio generazionale, alla trasmissione di quel po' delle nostre elaborazioni che possono servire alle nuove generazioni e alla formazione di nuova leadership. In particolare la storica DA WN (Developing Alternatives for a New Era) che ha guidato tutte le analisi delle donne del Sud sui temi economici ha formato una scuola di leadership per le giovani generazioni del Sud. Così anche AWID (Association for Women's Rights and Development) e l'associazione che raccoglie le femministe che lavorano nelle Università, Women's Worlds, che si sono aperte ad altre presenze. In genere queste associazioni si incontrano ogni due, tre, quattro anni, a turno in varie regioni del mondo. Cercano di rinforzare il legame tra studiose ed attiviste, tra politiche e attiviste, di approfondire le articolazioni interne dei temi attuali quali: globalizzazione, militarismo, fondamentalismo. Recente, (2003), è l'iniziativa dei "Feminist Dialogues", che nasce per stare nei luoghi misti dei Social Forums con un minimo d’autorevolezza non delegata alle star del momento, rigorosamente accettate in quanto singole ma non riconosciute in quanto portavoci di un sapere creato collettivamente. Alcune reti mediatiche cercano di rendere visibili internazionalmente le pratiche femministe, come la rete costaricana FIRE; e WINGS, in Canada. Inoltre funzionano sempre i gruppi che tengono sotto controllo per quanto possibile le istituzioni internazionali, cercando di assicurare che negli organismi UN vi siano femministe in luoghi di potere e visibilità, Unifem ad esempio.  Peraltro dopo l'iniziativa UN dei Millennium Development Goals, che segnano un regresso su tutti i punti della Conferenza di Pechino, il dibattito su "quanto" investire nel lavoro con e dentro le Nazioni Unite è più aperto che mai. Vi sono iniziative come quella legata a Mary Robinson, ex presidente dell'Irlanda che fu praticamente eliminata dalla scena pubblica in occasione del suo rapporto sulla situazione della Palestina e osò parlare di genocidio. Vi sono Libere Università che cercano di tenere in vita una metodologia come l'autocoscienza e una “interdisciplinarietà vera” tra vari saperi per interrogare la produzione di conoscenza. E molte, molte altre. Tutte caratterizzate dai tentativi di “tenere insieme”, ricomporre, questioni, spazi, figure sociali molto diverse tra loro. Tutte, senza eccezione, soffrono di problemi analoghi e da sempre classici del movimènto, locale e internazionale. Poiché tentativi come questi necessitano di spazi di autonomia, oltrechè di visibilità. Di finanziamenti che non siano da pietire continuamente.  Per rielaborare un pensiero trasversale, autonomo, complesso, la gabbia delle forme di finanziamento è cruciale. La loro neutralizzazione passa per l’impossibile autonomia dai donors, dai formulari da incubo dell’Unione Europea, dal divoramento del tempo di vita, di pensiero e creazione legato alla sopravvivenza istituzionale. La "ongizzazione" del movimento, vale a dire il fatto che molte associazioni molto politiche hanno dovuto trasformarsi, per sopravvivere, in organizzazioni non governative e impazzire dentro formulari e burocrazia, ha prodotto un inesorabile anche se combattuto scadimento della radicalità del pensiero e delle pratiche.

APPROCCI DA APPROFONDIRE

Teoricamente, l’uscita dall’approccio “gruppo vulnerabile” spinge a focalizzare la domanda seguente:
" Che cosa aggiunge" lo sguardo specifico da una posizione femminile all'analisi di un processo economico, sociale e culturale? All’analisi di oggi di un processo basato sull’importanza dei settori transnazionali, delle grandi società multinazionali, sulla prevalenza dell'economia finanziaria su quella reale, sulla diffusione dei processi d'informatizzazione? La collocazione specifica delle donne, che si situa dal lato dei processi materiali della sussistenza, che parte illumina di questo quadro e quali possibilità apre, se ne apre?"

 Un esempio di risposta può essere la seguente: se è vero che la globalizzazione riscrive totalmente anche il quadro politico, perché si tratta di un'economia che dà poteri a soggetti più astratti, cambiano anche i luoghi di resistenza, che non sono più le istituzioni politiche. Come ripensare le categorie della politica e dell'economia, e le relazioni fra di loro? Dal punto di vista del metodo usato, si tratta dell'uso di una certa collocazione marginale ma essenziale al sistema ancorché reso invisibile, per capirne delle forme di funzionamento meno evidenti, e, ben più difficile, individuarne punti deboli e ripensare le proprie forme organizzative. La sociologa Saskia Sassen ne dà un esempio: nell'immagine che si dà della globalizzazione si accentua molto il problema dell'informatizzazione dei mercati internazionali e dei poteri finanziari transnazionali concentrati nelle grandi città -centri finanziari. Nella descrizione di questi processi molti gruppi di donne hanno cominciato ad analizzare la redistribuzione dei poteri e delle soggettività a livello delle città globali a partire dai lavoratori invisibili in questi processi. Infatti, una descrizione che accentua troppo il peso dell'informatizzazione produce un'immagine immateriale dei processi economici. Anche i centri finanziari e i processi di informatizzazione hanno dei modi "di essere prodotti e delle condizioni materiali di sussistenza". I grandi poteri transnazionali che si ristrutturano e "fanno base" in una grande città globale, hanno tutti un’infrastruttura di lavoro, poco visibile, ma molto numerosa, di lavoro femminile e di immigrati, che fanno i lavori di pulizia, di manutenzione, tutti quei lavori che servono a "tenere in vita" i "piani superiori" dell'edificio produttivo.
Un altro esempio: come ripensare il nesso lavoro produttivo e riproduttivo, oggi che la gestione dei servizi sociali alla terza età è totalmente in mano alle badanti immigrate? Il che significa: come far entrare nella contabilizzazione economica il fatto che interi paesi siano salvati dalla bancarotta e dal debito dalle rimesse degli immigrati, per i quali tra l’altro l’invio di denaro parte da motivazioni altre come la solidarietà familiare? E ancora: cosa produce a lungo termine il fatto che sono le donne immigrate, spesso provenienti da società iper repressive contro le donne, quelle che, entrate in contatto con altre forme sociali e altre condizioni culturali diventano poi agenti di cambiamento, di sé, del contesto in cui vivono, o di quello in cui tornano dopo un certo tempo. Alcune sono autrici di vere e proprie invenzioni sociali e collettive. Molte donne immigrate da queste società a contesti di maggiore libertà individuale non pensano neppure lontanamente al ritorno, sogno che invece nutre il lavoro degli immigrati maschi, (nonché le forme di violenza intra familiare verso le nuove generazioni, nate in altri contesti, che dovrebbero nella testa dei padri restare fedeli ai contesti d’origine.) Sono queste donne quelle che hanno "bonificato" socialmente interi quartieri invivibili della città di New York, rendendoli abitabili e vivibili, o che, nel Sud del mondo, promuovono i progetti di sviluppo nel loro contesto d'origine a partire dai paesi di immigrazione, che prendono in mano le situazioni post-guerra e ricostruiscono il tessuto sociale, che sia in Rwanda, o in una Uganda decimata dall'AIDS. Non si dichiarano femministe. Ma, dal punto di vista del metodo, o del processo, ciò che unisce situazioni cosi disparate è il fatto che la loro visibilizzazione, all'interno del sistema sociale economico e del suo funzionamento, ne ridisegna la struttura e indica nicchie dentro le quali si annidano anche altre possibilità di sussistenza e convivenza. Per renderle visibili con una certa chiarezza però necessitano ridefinizioni di campi, aperture disciplinari nelle teorie, visione di implicazioni possibili nelle pratiche, riletture aperte, per cosi dire. In altri termini: se è sempre più chiaro che le donne sono spesso le maggiori vittime, la parte più colpita dalle guerre, dalla povertà, dalla emergenza sanitaria, è altrettanto chiaro che oggi questa condizione di vittime è più complessa, e le pone anche alla testa di forme di resistenza particolari, siano la ricerca dei figli scomparsi delle madres argentine o la lotta per la preservazione dell’ambiente. Queste lotte sono estremamente locali da un lato, sono specifiche, radicate in un territorio o legate a un problema, toccano le persone da vicino, come è la ricerca dei figli desaparecidos da parte delle madres, ma sono anche estremamente globali, poiché rivelano la faccia nascosta di un pezzo del mondo che fa eco in altri pezzi di mondo dove lo stesso fenomeno appare con delle varianti pur essendo parte di un meccanismo analogo. Alludono a scelte di "altri" valori fondanti le pratiche politiche. Alludono a un orizzonte che la sinistra non ha più, tutto da ricostruire, e a un altro orizzonte, che la sinistra non ha mai avuto. Ad esempio bisogna saper ascoltare il fatto che le definizioni di pace e guerra possono cambiare di segno. Per molte donne della ex Jugoslavia la fine della guerra è stata, col ritorno a casa degli uomini, la fine di un tempo di pace, in cui “per necessità di guerra” si era comunque aperto per loro lo spazio pubblico, ed erano state risparmiate le umiliazioni di una vita familiare dettata da leggi religiose o da tradizioni tribali.

Tutto questo campo si situa e implica nello stesso tempo a quel livello più profondo che è l'intreccio tra patriarcato e capitalismo.

Per approfondire questo livello è necessario un lavoro teorico enorme, a partire da nuclei di pratiche molto alternative che, a loro volta, necessitano di spazi adeguati per potersi sviluppare e sostenere, necessitano di un cambiamento di prospettiva all’interno della weltanschaung maschile, del loro sistema di pensiero.

Così interpreterei la presenza simultanea di pratiche molteplici, multidirezionali, perfino linguisticamente oltre che concettualmente, organizzativamente e territorialmente, che cercano di occupare tutti gli spazi possibili di resistenza senza preoccuparsi troppo, diversamente dal passato, di coerenze interne, in primo luogo perché appena si lascia un terreno scoperto esso è occupato da narrative-discorso che deformano i contenuti a proprio uso, rimettendo, per dirla marxianamente, "il mondo a testa in giù". Ma anche per una specie di istintiva consapevolezza che tutti i temi vanno "tenuti insieme al tempo stesso", che tutte le strategie vanno perseguite, che non ha senso discutere se è più importante lavorare dentro o fuori le istituzioni, poiché i fronti sono troppi e tutti vanno tenuti aperti. E' contributo del movimento delle donne ripensare l'organizzazione della vita, del rapporto tra sopravvivenza economica ed altra sopravvivenze, il che implica un lavoro teorico di ridefinizione, al limite tra vari campi disciplinari quali l'economia, il diritto, la politica, l'antropologia sociale. Le organizzazione femministe che si occupano di economia sanno quanto sia difficile e insieme necessario pensare un'alternativa economica che sia anche alternativa all'economia, ad esempio. E’necessario un lavoro di intersezioni, di scoperta di funzionamenti, di analisi e interpretazione delle pratiche che vengono via via inventate sul campo, di indicazione delle prospettive che esse aprono, di “trattenimento dei significati” nelle mani di chi li ha creati, pur non rendendosi invisibili. Necessita anche di capacità del vedere i tempi dell'oggi come anticipazione di ciò che si vuole nel futuro, la ricerca di alleanze con donne diverse, con uomini capaci di pensare e saper vedere, di interrogare ad esempio la relazione tra mascolinità e la configurazione attuale del mondo. Implicano la gestione del conflitto interno in modo non distruttivo.., di metodi di "tenuta personale", di lavoro interiore per vivere la militanza in modo meno estenuante e svuotante. Insomma una mole enorme di metodi, di teorie, di aree di ricerca, di tematiche, di pratiche da tenere vive e interconnesse. A me pare queste siano le ricerche che stanno silenziosamente avvenendo, sia a livello di ogni singola situazione dove qualcosa e qualcuno resiste, che di reti internazionali, nei tentativi dei nuovi spazi organizzativi che si stanno faticosamente formando. Nel disastro del mondo che viene, un sacco di donne fanno silenziosamente pratiche che possono essere lette come estrema resistenza o forse qualcosa di più, prefigurazione di valori, metodi; visioni fondanti.
E' comunque all'interno di questi spazi che si elaborano oggi le alternative.

 

 

24-02-2010